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Il COVID-19, prima dell’avvento delle varianti Delta ed Omicron, sembrava essere meno diffuso nei bambini e adolescenti, che presentavano una minore probabilità di sviluppare una malattia grave. I bambini con infezione da SARS-CoV-2 erano generalmente asintomatici o paucisintomatici, con bassi tassi di ospedalizzazione (<2%) o mortalità (<0,03%).1
Con l’emergere delle nuove varianti, tra maggio e novembre del 2021, che hanno mostrato una maggiore trasmissibilità e resistenza alla risposta anticorpale policlonale generata dall'infezione2, di pari passo è aumentata l’incidenza dell’infezione SARS-CoV-2 (asintomatica o sintomatica) anche nella popolazione pediatrica e quindi il potenziale rischio di sviluppare conseguenze a lungo termine. Sebbene nei bambini e adolescenti la fase acuta dell’infezione da Covid-19 si manifesta in una forma meno severa, sono invece numerose le condizioni secondarie che possono insorgere e, per questo, il potenziale rischio di sviluppare conseguenze a lungo termine può essere significativo, indipendentemente dalla gravità della malattia iniziale.
Gli aggiornamenti, presentati nel report dell’Istituto superiore di sanità (ISS)3, relativi all’infezione da COVID-19 nella fascia di età da 0 a 19 anni, sono i seguenti:
Dall’inizio dell’epidemia, al 18 maggio 2022, sono stati diagnosticati e riportati al sistema di sorveglianza integrata COVID-19, 3.853.361 casi nella popolazione 0-19 anni (circa il 3% della popolazione totale per questa fascia di età4), di cui 18.423 ospedalizzati, 406 ricoverati in terapia intensiva e 58 deceduti3.
Le conseguenze a lungo termine dell’infezione da SARS-CoV-2 più preoccupanti in bambini e adolescenti sono la sindrome infiammatoria multi-sistemica pediatrica (MIS-C),5 una malattia immuno-mediata causata dall’eccessiva/deregolata risposta del sistema immunitario che può provocare gravi danni a vari organi (polmoni, cuore, reni) e il Long Covid o sindrome post-COVID, che si manifesta quando i sintomi causati dall’infezione persistono, o si ripresentano, per settimane/mesi dopo l’infezione acuta (con negativizzazione dei test diagnostici, nella maggioranza dei casi), interessando il sistema sensoriale, neurologico e cardiorespiratorio, oltre che la salute mentale5.
Lo stato di infiammazione cronica, causato dal virus, è in grado di provocare una deregolazione del sistema immunitario che persiste nel tempo, con conseguenti e ricorrenti manifestazioni di notevole entità. I dati relativi ad uno studio condotto su più di 48 mila pazienti7, a distanza di sei mesi dalla prima ondata della pandemia di Covid-19 nella regione Lombardia, mostrano come una persona su cinque affetta da Covid-19 sia tornata in ospedale nei sei mesi successivi alla negativizzazione, o comunque abbia avuto necessità di farmaci per diverse patologie (metaboliche, ematologiche, cardiovascolari, neuropsichiatriche e respiratorie) ad indicare e confermare che la condizione post-COVID può coinvolgere, anche contemporaneamente, più organi e sistemi corporei.
Confrontate le richieste al SSN tra il periodo che ha preceduto il Covid (giugno-dicembre 2019) e quello post prima ondata (giugno-dicembre 2020), è stato possibile constatare che:
A distanza di sei mesi dalla guarigione:
la percentuale più alta di pazienti deceduti (2%) corrispondeva al gruppo di quelli ricoverati nei reparti non intensivi
la percentuale più alta di accessi al pronto soccorso (13,8%) era relativa a chi era stato curato a casa
Questi risultati sono stati confermati da revisioni sistematiche recenti8 e dai dati del sistema sanitario inglese relativi a 47mila pazienti ricoverati per Covid-19 che hanno subito un secondo ricovero (un terzo dei pazienti) o decesso (uno su dieci), a distanza di cinque mesi dalle dimissioni.9
Dagli studi è anche emerso che, nei mesi successivi alla guarigione, gli esami più richiesti sono stati quelli legati a problemi cardio-respiratori (spirometria, TAC ed elettrocardiogramma), seguiti da analisi per disturbi renali e neurologici, oltre ad un aumento del consumo dei farmaci, sia per chi era stato ricoverato in terapia intensiva che per chi era stato assistito in reparti ordinari7.
Tra le analisi che hanno esaminato le conseguenze a lungo termine, un recente lavoro italiano10 ha descritto l'evoluzione clinica del Covid-19 a un anno dalla dimissione. Di 767 pazienti di età maggiore o uguale a 18 anni, 238 hanno acconsentito a partecipare a un follow-up clinico a 4 mesi e 200 a una valutazione clinica a 12 mesi, che includeva:
La MIS-C è un fenomeno che colpisce tra lo 0,1% e lo 0,4% dei bambini affetti da COVID-196. Si verifica da 2 a 6 settimane dopo l'infezione da SARS-CoV-2 e richiede un supporto di terapia intensiva nel 68% dei casi7,5. Questa sindrome provoca manifestazioni multisistemiche che coinvolgono il tratto gastrointestinale, la cute, le mucose e il sistema cardiovascolare. Tra i principali sintomi della MIS-C si annoverano7:
Come evidenziato da alcuni ricercatori, per certi aspetti il quadro clinico della MIS-C ricorda quello della malattia di Kawasaki (KD)7, una vasculite, che a volte interessa le arterie coronariche. Questa si presenta in neonati e bambini di età compresa tra 1 e 8 anni ed è caratterizzata da febbre prolungata, esantema, congiuntivite, infiammazione della mucosa e linfoadenopatie8,5
I potenziali fattori di rischio per lo sviluppo del Long Covid nella popolazione pediatrica sono stati analizzati in una revisione del 20227. Alcuni studi hanno mostrato che il Long Covid pediatrico era più comune nei bambini di maggiore età e negli adolescenti9,11, nelle femmine 10,11,12, nei soggetti con disturbi allergici13 o con altre patologie croniche12 e in presenza di sintomi severi nella fase acuta di COVID-197, sebbene non si possa assumere che chi non ha sviluppato sintomi severi durante la fase acuta non possa soffrire di Long Covid14. Dai dati raccolti da interviste telefoniche a genitori/caregiver, riportati in uno studio condotto su una coorte di bambini ospedalizzati in Russia13 (età media 10.4 anni; 52.1% femmine) con diagnosi di COVID-19 confermata 223–271 giorni prima, è emerso, come:
Ndr: OR (odd ratio) esprime l’associazione tra l’esposizione a certi fattori di rischio e l’insorgenza di una malattia
I risultati di un’indagine online anonima, riportati in uno studio italiano del 202115, dove ai genitori di 510 bambini (di cui il 56.3% di sesso femminile) infettati da SARS-CoV-2 tra gennaio 2020 e gennaio 2021 e con sintomi persistenti per più di quattro settimane veniva chiesto di riferire i segni, sintomi, attività fisica e problemi di salute mentale dei loro figli, hanno mostrato che le sintomatologie più frequentemente riscontrate erano:
A seguito dell’infezione iniziale, i soggetti hanno mostrato sintomi persistenti per una media di 8.2 mesi (standard deviation, SD 3.9), e di questi:
La fatigue (definita come affaticamento fisico e/o psichico derivante da un’azione, ossia l'incapacità di continuare un’attività alla stessa intensità, con conseguente peggioramento delle prestazioni16 , è stato il sintomo più riportato, seguito da mal di testa, anche in uno studio prospettico condotto su un numero più elevato di bambini in età scolare del Regno Unito (nell’84,4% e 77,9% dei casi, rispettivamente), dove però i soggetti positivi al SARS-CoV-2 analizzati (1734), riportavano sintomi della durata di almeno 28 giorni (4,4%, 77 soggetti), mentre l’1.8% (25 soggetti) ha accusato sintomi per una durata superiore a 56 giorni, con cefalea nell’80% dei casi. Allo stesso modo, uno studio russo di follow-up condotto su una coorte di bambini ricoverati con COVID-19 sospetto o accertato, ha rivelato come la fatigue (nel 10,6% dei casi su un campione di 518 bambini) e i disturbi del sonno (7,2%) fossero i sintomi più frequenti di Long Covid13, con una durata inferiore ad un mese.
I medesimi sintomi sono emersi anche da un'indagine svolta su un campione di bambini italiani (129), da cui si è evidenziato come, a seguire la fatigue (10,8%) e l’insonnia (18,6% dei casi), i disturbi maggiormente rivelati sono stati la mancanza di concentrazione e dolori articolari, rispettivamente nel 10,1% e nel 6,9% dei soggetti, ma con una durata superiore, fino a 120 giorni, nel 42,6% dei soggetti analizzati.22
Dall’insieme di tutti gli studi, i principali sintomi da Long Covid complessivamente riscontrati nella popolazione pediatrica, e le relative prevalenze17, sono:
e, in percentuale minore:
Secondo il comunicato della Società Italiana di Pediatria (SIP)19 l’incidenza del Long Covid varia dal 4 al 60% a seconda degli studi, peraltro, molto eterogenei. Negli Stati Uniti sono stati diagnosticati oltre 6 milioni di casi di Long Covid in bambini e adolescenti, pari al 19% di tutti i casi di Long Covid segnalati nell’intera popolazione. Come emerge da una revisione sistematica della letteratura del 202120, i casi pediatrici di COVID-19 possono essere sottostimati, con conseguente sottostima dei casi di Long Covid, a causa del basso numero di test effettuati e di infezioni sintomatiche.
Ricercatori e medici sono concordi sulla necessità di ulteriori studi su larga scala, basati su una popolazione più ampia, e prospettici, per determinare l'entità, la durata e l'impatto dei sintomi a lungo termine di COVID-19 tra i bambini e gli adolescenti, anche alla luce della presenza di disturbi o patologie pregresse.
I dati riportati dall’Office for National Statistics (UK), relativi ad uno studio del 20227, mostrano una prevalenza del Long Covid, del 3.3% nei bambini della scuola primaria e del 4.6% in quelli della scuola secondaria, in un periodo da 4 a 8 settimane dopo l’infezione da SARS-CoV-2, mentre uno studio australiano, monitorando per 36 mesi 151 bambini (età media 3 anni) con infezione prevalentemente leggera oppure asintomatica, ha evidenziato la presenza di sintomi persistenti in seguito all’infezione nell’8% dei casi.21
Uno studio condotto da un gruppo italiano22 su bambini con diagnosi confermata di infezione da SARS-CoV-2, ha mostrato che il Long Covid poteva essere diagnosticato nel 66% dei pazienti valutati tra 60-120 giorni (20 su 30) e nel 51.4% dei pazienti valutati oltre 120 giorni (35 su 68) dopo la diagnosi di COVID-19, risultato che si discostava ampiamente da quelli riportati in altri studi, sebbene molti riportassero un tasso di prevalenza più alto rispetto a quelli dell’ Office for National Statistics (UK).23,24,13
Molti sono i fattori che possono giustificare queste differenze, come emerge da un’analisi recente sui numerosi dati disponibili, in cui viene chiaramente indicata la difficoltà a trarre conclusioni definitive sulla prevalenza e caratteristiche cliniche del Long Covid nella popolazione pediatrica7,1, data l’eterogeneità dei diversi studi, le differenze nel disegno con cui sono stati condotti, i diversi criteri di inclusione ed esclusione, la durata del follow up nonché la differente valutazione delle manifestazioni cliniche a lungo termine.
Inoltre, la maggior parte di queste analisi avevano anche importanti limiti metodologici, tra cui il numero totale dei partecipanti, spesso troppo esiguo per consentire una valutazione affidabile25, l’inclusione di soggetti con diagnosi di COVID-19 non confermata in laboratorio e l’assenza di dati su eventuali condizioni preesistenti, quali, ad esempio, pregressi problemi di salute mentale o psichici.1
Uno studio danese26 su 24.315 partecipanti con un test positivo per SARS-CoV-2, nella fascia 15-20 anni (51.2% maschi, 48.8% femmine) e con comorbidità preesistenti tra cui allergia (18,8%), asma (7,7%), eczema (5,6%), disturbi psicologici quali disturbo ossessivo-compulsivo (5,5%), ansia o depressione e ancora, patologie metaboliche quali sottopeso (1,8%) o sovrappeso (13,1%) ha evidenziato come un adolescente su tre non abbia presentato sintomi o abbia riportato un lieve carico sintomatologico. Due su tre hanno segnalato sintomi entro le prime quattro settimane, come mal di testa, senso dell'olfatto e del gusto ridotti, tosse e mal di gola, mentre l'aumento dell'età e le comorbidità quali asma e precedenti infezioni da virus di Epstein-Barr erano correlate a un carico di sintomi più elevato, tra cui ansia e depressione, con un’incidenza maggiore sul campione femminile.
Il 47,8% dei partecipanti ha riportato l’insorgenza e successiva persistenza di almeno un sintomo nuovo rispetto all’infezione primaria, di entità moderata e severa, a 7-9 mesi dal test, ed è importante notare come il numero dei partecipanti con sintomi lievi è diminuito con il trascorrere del tempo dal test positivo, restando comunque elevato ancora 12 mesi dopo, mentre, al contrario, i soggetti che hanno segnalato un carico di sintomi gravi sono aumentati con il tempo, sullo stesso arco di mesi considerati.
Limitazione di questo studio sono il numero di partecipanti, che sebbene elevato, ha visto un tasso di risposta solo del 27,3% (6630 soggetti hanno concluso il questionario).26
Allo stesso modo, da uno studio inglese condotto su 50.846 adolescenti di età compresa nella fascia 11-17 anni, di cui il 13,4% (6804 soggetti) ha completato il questionario valutativo, è emerso come 3 mesi dopo l’infezione primaria la presenza di sintomi fisici era maggiore rispetto al momento del test, e ancora, i soggetti che evidenziavano sintomi multipli a 3 mesi avevano maggiori probabilità di essere di sesso femminile, con problematiche fisiche e mentali pregresse prima del COVID-19 (suggerendo che queste ultime potrebbero influenzare i sintomi a lungo termine) e appartenenti alla fascia di età più alta di quella analizzata, a indicare che, per gli adolescenti, la sintomatologia del Long Covid potrebbe benissimo sovrapporsi a quella degli adulti, almeno per quanto riguarda i disturbi neuro-psichiatrici.12,14
A complicare il quadro, in tutti gli studi sono risultati carenti i dati relativi all'uso dei servizi sanitari tra bambini e adolescenti, e alla stima di un eventuale aumento, dopo la malattia iniziale, dato potenzialmente utile per interpretare il prolungarsi di sintomi.
Gli autori di un’analisi del 2022 svolta in Norvegia27 su 706.885 bambini di età compresa tra 1 e 19 anni (nel periodo dall’1 agosto 2020 all’1 febbraio 2021), di cui 10.279 con test positivo per il SARS-CoV-2, 275 859 (39.0%) con test negativo e 420 747 (59.5%) che non avevano effettuato il test, ha evidenziato come, per i soggetti risultati positivi al test:
In Italia
La SIP ha raccomandato ai pediatri di famiglia e ai genitori di monitorare i possibili casi di COVID-19 a lungo termine tra i bambini e gli adolescenti.
Queste raccomandazioni sono contenute in un documento di Consenso redatto19 su proposta del Tavolo Tecnico Malattie Infettive e Vaccinazioni e della Società Italiana di Malattie Respiratorie Infantili (SIMRI), in collaborazione con la Società Italiana di Malattie Infettive Pediatriche (SITIP), la Società Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica (SIAIP), la Società Italiana di Emergenza e Urgenza Pediatrica (SIMEUP) e la Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS).
Le principali indicazioni contenute nel documento sono:
La Società di Pediatria delle Cure Primarie Pediatriche (SICuPP) e la Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) condividono l’importanza di prestare attenzione al Long Covid nei bambini, ma non approvano la definizione precisa di un timing di visite che il pediatra dovrebbe fare per cogliere i sintomi del Long Covid, dato che non trova riscontro in letteratura, e questo potrebbe, di conseguenza, aggravare l’impatto organizzativo dei controlli e i costi di assistenza.28
Negli Stati Uniti
Nell’ultimo rapporto della American Academy of Pediatrics29 viene riconfermato che, nonostante nei bambini e adolescenti l'infezione acuta da SARS-CoV-2 sia spesso asintomatica o paucisintomatica e le complicanze pericolose per la vita siano rare, le condizioni secondarie con implicazioni acute o severe che possono insorgere sono numerose, indipendentemente dalla gravità dell’infezione primaria, e gli effetti a lungo termine dell’infezione possono essere significativi.
Per quanto riguarda il follow up, secondo le raccomandazioni della AAP, tutti i pazienti pediatrici con diagnosi di SARS-CoV-2 dovrebbero essere visitati, almeno una volta, dal pediatra o dal medico di medicina generale. La vasta gamma di possibili manifestazioni post-COVID-19 implica la necessità di un dialogo coordinato per monitorare i sintomi residui della malattia, valutare lo sviluppo di nuovi sintomi e supportare un graduale ritorno alle attività consuete (scuola, sport, ecc.). Anche se la severità della malattia acuta non predice necessariamente la comparsa di sintomi successivi o lo sviluppo del Long Covid, secondo la AAP, un paziente pediatrico con malattia moderata (>4 giorni di febbre >38°C; >1 settimana di mialgia, brividi o letargia; permanenza in ospedale ma non in terapia intensiva) o malattia severa (ricovero in terapia intensiva o intubazione) può essere a maggior rischio per lo sviluppo successivo di patologie cardiovascolari e in questo caso una visita in presenza è altamente raccomandata.
Per una malattia asintomatica o leggera (<4 giorni con febbre >38°C, <1 settimana di mialgia, brividi, letargia), una visita di follow up via video o telefono può essere sufficiente, se tutti i sintomi residuali sono risolti. Le visite di follow up dovrebbero essere effettuate dopo il periodo di quarantena e prima del ritorno alle normali attività.
Infine, secondo la AAP, la telemedicina, si è rivelata uno strumento importante per fornire assistenza durante la pandemia da Covid-19 ed è considerata un valido aiuto anche per l’assistenza di pazienti con Long Covid, che dovrebbero ricevere un follow up adeguato ai sintomi specifici e alla loro durata.
Gli studi attualmente a disposizione, e riportati in questo editoriale, hanno di certo evidenziato come il post-Covid sia diverso nei bambini e adolescenti rispetto agli adulti, e non sia quindi possibile estrapolare dati dalla letteratura sugli adulti per decidere politiche, strategie e trarre conclusioni, anche operative, sulle fasce di età inferiori.
Una determinazione accurata del rischio di Long Covid in queste fasce di età è cruciale nel dibattito su rischi e benefici della vaccinazione in bambini e adolescenti, dato che, al basso rischio associato all’insorgenza della malattia acuta in questa fascia di età, si affianca il sostanziale beneficio che la vaccinazione anti COVID-19 può apportare, quali la protezione dal Long Covid.
PP-UNP-ITA-1709
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Tra i pazienti che hanno sviluppato l’infezione da COVID, molti hanno poi lamentato sintomi di Long Covid, per il quale, ad oggi, non vi è un trattamento specifico.
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