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Sebbene il sistema respiratorio sia l’apparato più colpito da SARS-CoV-2, l’infezione può influenzare altri importanti sistemi come il tratto gastrointestinale (GI), epatobiliare, cardiovascolare, renale e il sistema nervoso centrale (CNS). La disfunzione d'organo indotta da SARS-CoV-2, in generale, si può probabilmente spiegare con uno o più meccanismi proposti come tossicità virale diretta, danno ischemico causato da vasculite, trombosi o trombo-infiammazione, disregolazione immunitaria e disfunzione del sistema renina-angiotensina (RAS).1
Polmoni: in reperti autoptici di pazienti positivi al COVID-19, presenza di danno alveolare diffuso nell'87% dei casi, frequentemente associato a iperplasia pneumocitaria di tipo II, infiammazione delle vie aeree e membrane ialine nelle zone alveolari. Il 42% dei pazienti presentava trombi di grandi vasi, microtrombi piastrinici e/o microtrombi di fibrina nell'84% dei casi.1
Tratto digerente: presenza della proteina del nucleocapside virale nel citoplasma dell'epitelio gastrico, duodenale e rettale. Nella lamina propria dello stomaco, del duodeno e del retto sono state osservate numerose plasmacellule e linfociti infiltranti con edema interstiziale.1
Fegato: presenza post mortem di steatosi epatica in 11/11 pazienti, con congestione cronica nel 73% dei casi. Diverse forme di necrosi degli epatociti sono state osservate in 4 pazienti e il 70% ha mostrato proliferazione nodulare.1
Miocardio: l'analisi del tessuto cardiaco in 39 rilievi autoptici di pazienti risultati positivi per SARS-CoV-2 ha dimostrato la presenza del genoma virale SARS-CoV-2 all'interno del miocardio.1
Cervello: in 18/18 pazienti scomparsi per COVID-19 era presente una lesione ipossica acuta a livello cerebrale e cerebellare, ma non segni di encefalite.1
Rene: l'analisi istopatologica di campioni renali ottenuti dalle autopsie di 26 pazienti positivi al COVID-19 ha evidenziato segni di lesione tubulare prossimale diffusa con perdita del bordo della spazzola, degenerazione vacuolare non isometrica e necrosi. Inoltre, la microscopia elettronica ha mostrato gruppi di particelle simili al coronavirus con punte nell'epitelio tubulare e nei podociti.1
Il periodo di incubazione mediano per SARS-CoV-2, dopo l’esposizione ad aerosol e a particelle virali depositate su superfici inanimate, o la trasmissione da una persona all’altra tramite particelle respiratorie emesse con tosse/starnuti, è intorno a 5,1 giorni con la probabilità di sviluppare sintomi, nella maggior parte dei casi, entro 11,5 giorni dall'infezione, dipendentemente dalla virulenza della variante circolante. I soggetti con infezione da SARS-CoV-2 possono sviluppare una serie di manifestazioni cliniche che vanno dall'assenza di sintomi (asintomatici) a malattie critiche associate ad insufficienza respiratoria, shock settico e insufficienza multiorgano.1
La stragrande maggioranza dei pazienti sintomatici si presenta comunemente con febbre, tosse e respiro corto e, meno frequentemente, mal di gola, anosmia, disgeusia, anoressia, nausea, malessere, mialgie e diarrea. In uno studio del 2020 su 373.883 casi sintomatici confermati di COVID-19 negli Stati Uniti, il 70% di loro ha manifestato febbre, tosse, mancanza di respiro, il 36% ha riportato mialgia e il 34% ha riportato cefalea.1
Un'altra vasta metanalisi su 8697 pazienti con COVID-19 in Cina ha riportato anomalie di laboratorio che includevano linfopenia (47,6%), livelli elevati di proteina C-reattiva (65,9%), enzimi cardiaci elevati (49,4%), e test di funzionalità epatica alterati (26,4%), leucopenia (23,5%), D-dimero elevato (20,4%), velocità di eritrosedimentazione elevata (20,4%), leucocitosi (9,9%), procalcitonina elevata (16,7%) e funzionalità renale alterata (10,9%). I risultati radiografici comuni nei pazienti con COVID-19 includono opacità multifocali bilaterali alle radiografie del torace e opacità bilaterali a vetro smerigliato periferiche.1
Example
In base alla gravità con cui si presenta la malattia, il National Institutes of Health (NIH) statunitense ha pubblicato linee guida che raggruppano gli adulti con infezione da SARS-CoV-2 in cinque categorie distinte:2
La maggior parte dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2 è asintomatica o presenta lievi sintomi delle alte vie respiratorie come starnuti, tosse non produttiva, alterazioni del respiro, rinorrea già 2-4 giorni dopo l'infezione, mentre tra i segni clinici più comuni rientra la polmonite confermata con una radiografia del torace.3
Le infezioni virali acute delle basse vie respiratorie possono contribuire al declino transitorio di grado variabile della funzione polmonare, così come alla broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e alla morbilità dell'asma. Ma come si evidenzierà nel successivo paragrafo dedicato a Long Covid, l’iniziale compromissione della funzione polmonare in pazienti affetti da SARS-CoV-2, come si è già potuto osservare con la SARS (CoV-1) e la sindrome respiratoria mediorientale (MERS), può persistere in alcuni individui per mesi o anni.4
Le prove iniziali delle indagini sulle conseguenze a medio-lungo termine di COVID-19 mostrano una riduzione della capacità vitale forzata (FVC), della capacità di diffondere il monossido di carbonio (DLCO) e della capacità polmonare totale (TLC).4
Attraverso test di funzionalità polmonare è stato osservato come COVID-19 sia associato a un declino accelerato del volume espiratorio forzato in un secondo (FEV1) e della FVC, indipendentemente dall’abitudine al fumo, con una diminuzione maggiore per FVC di circa 23 mL l'anno. Risultati che suggeriscono come anche una malattia lieve da COVID-19 possa influenzare negativamente l’apparato polmonare in individui relativamente sani della popolazione generale.4
Gli approfondimenti istologici, biochimici e fisiologici sull’impatto della malattia da SARS-CoV-2 a livello polmonare hanno evidenziato ampie aree di infiammazione e lesioni, mentre le osservazioni post mortem effettuate in pazienti con COVID-19 hanno mostrato danno alveolare, fase proliferativa precoce/intermedia e presenza di trombi e segni di infiammazione polmonare, tutte caratteristiche peraltro comuni all'ARDS da altre cause.5
Alcuni pazienti possono, tuttavia, progredire rapidamente verso lo sviluppo di sintomi di grave dispnea o ipossiemia associati a sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), con necessità di supporto ventilatorio meccanico e presenza di un alto tasso di mortalità per shock, setticemia e sindrome da disfunzione multiorgano. La percentuale di pazienti con COVID-19 ricoverati in ospedale con diagnosi di ARDS, in base ai livelli di ossigeno nel sangue, varia tra il 20 e il 67% fino a raggiungere il 100% nei pazienti ventilati meccanicamente.3
Gli studi indicano come l'ARDS associato a COVID-19 abbia esiti peggiori dell'ARDS da altre cause. Per esempio, se la mortalità in terapia intensiva per ARDS tipica è pari al 35,3%, la mortalità in terapia intensiva per ARDS correlata a COVID-19 varia dal 26,0% al 61,5% fino a raggiungere, nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica, valori compresi tra il 65,7% e il 94,0%.3
PP-UNP-ITA-1701
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I Medici di Medicina Generale, durante la pandemia, sono divenuti il punto di riferimento per i pazienti, soprattutto quelli a rischio.
Per il medico è fondamentale valutare, nel caso di infezione da Sars-CoV-2, la presenza di fattori predisponenti o malattie croniche, per identificare il paziente ad alto rischio e indirizzarlo alle cure più adatte.
Sars-CoV-2, interagendo con il suo recettore ACE2, limita la produzione del peptide Ang del sistema RAS, trasformando la reazione al virus in una risposta infiammatoria incontrollata.
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