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Molteplici report sulla pandemia di SARS-CoV-2 descrivono manifestazioni neurologiche concomitanti di COVID-19, inclusi sintomi quali mal di testa, mialgia, anosmia e ageusia, nonché sindromi neurologiche quali encefalopatia, ictus e coma,1 sindrome di Guillain-Barré, compromissione della coscienza, disturbi convulsivi ed encefalopatia metabolica tossica.2
La cefalea è uno dei sintomi non respiratori più frequenti della malattia da SARS-CoV-2, pur se con una disparità significativa nella prevalenza riportata, essendo descritta dal 14-70% dei pazienti COVID-19. Secondo i Centers for Disease Control and prevention (CDC) di Atlanta, è il sintomo neurologico più frequente, sperimentato dal 14,8% dei pazienti ospedalizzati, con una frequenza del 22,7% nei pazienti tra i 18 e i 49 anni.3
Nei pazienti ospedalizzati, la presenza di cefalea rappresenta un fattore prognostico di minor rischio di mortalità e ricovero in terapia intensiva. Tuttavia, i pazienti con cefalea descrivono un elevato grado di disabilità e la frequente necessità di trattamento acuto.3
Varie sono le manifestazioni di danno cardiovascolare acuto associato ad infezione da SARS-CoV-2, tra cui infarto miocardico acuto, miocardite, cardiomiopatia da stress, pericardite, aritmie, sindrome infiammatoria multisistemica, sia negli adulti (MIS-A) che nei bambini (MIS-C), ictus, malattia macrotrombotica comprendente tromboembolismo arterioso e venoso, malattia microtrombotica e diatesi emorragica.4
Secondo un'analisi retrospettiva su 187 pazienti con diagnosi di COVID-19 il 27,8% dei pazienti presenta un danno miocardico indicato da elevati livelli di troponina, con una frequenza più elevata di aritmie maligne e necessità di ventilazione meccanica rispetto ai pazienti con livelli di troponina nella norma. Una malattia cardiovascolare preesistente sembra essere collegata ad esiti peggiori e a un aumentato rischio di morte nei pazienti con COVID-19.2
È probabile che i meccanismi eziopatogenetici alla base di queste manifestazioni cliniche siano multifattoriali, comprese le cause primarie come un'elevata infiammazione locale (endotelite) e sistemica (tempesta di citochine) con conseguente coagulopatia, infarto del miocardio, ictus, MIS-A, MIS -C e aritmie, effetti citopatici virali diretti responsabili di miocardite e disordini autoimmuni.4
Se le infezioni virali sono una causa comune di miocardite, con conseguente ospedalizzazione, insufficienza cardiaca e morte improvvisa, dati emergenti suggeriscono un'associazione tra COVID-19 e miocardite. I CDC hanno valutato questa associazione utilizzando un ampio database amministrativo di oltre 900 ospedali statunitensi relativo all’assistenza sanitaria.5
I ricoveri per miocardite sono stati del 42,3% più numerosi nel 2020 rispetto al 2019. Nel periodo marzo 2020-gennaio 2021, intervallo di tempo coincidente con la pandemia di COVID-19, il rischio di miocardite è stato pari allo 0,146% tra i pazienti con diagnosi di COVID-19 durante un ricovero o una visita ambulatoriale e pari allo 0,009% tra i pazienti senza diagnosi di COVID-19. Tra marzo 2020 e gennaio 2021, i pazienti con COVID-19 avevano in media un rischio 15,7 volte maggiore di miocardite rispetto a quelli senza COVID-19.5
Il danno renale acuto (AKI) è una delle complicanze più comuni di COVID-19,6 di origine probabilmente multifattoriale (ipervolemia, danno iatrogeno, danno vascolare),2 compreso il danno diretto dovuto al tropismo virale che porta a disfunzione endoteliale, coagulopatia e attivazione del complemento, nonché il danno indiretto dovuto a “crosstalk” tra organi (cioè la comunicazione tra organi attraverso fattori solubili), disidratazione ed esposizione a nefrotossine durante il trattamento della malattia virale.6 I risultati delle analisi di laboratorio suggeriscono che SARS-CoV-2 infetta direttamente il rene umano fino a determinare la patogenesi tubulare e l'AKI,7 che risulta significativamente correlata a esito clinico peggiore e ad aumentato rischio di mortalità nei pazienti con malattia da SARS-CoV-2.6
Diversi i fattori di rischio per AKI indotto da COVID-19 affrontati in studi recenti: tra tutti l'età avanzata, il sesso maschile, la gravità della malattia da SARS-CoV-2 e i livelli di ferritina, creatina chinasi e peptide natriuretico cerebrale.6 Un'analisi retrospettiva effettuata in Cina ha rilevato che il 27% dei pazienti presentava AKI: pazienti anziani e soggetti con comorbilità, come ipertensione e insufficienza cardiaca, sono più inclini a sviluppare AKI.7
Sintomi e segni gastrointestinali sono prevalenti nei pazienti con COVID-19: nei soggetti in condizioni critiche si osserva un tasso più elevato di complicanze gastrointestinali rispetto ai pazienti nelle stesse condizioni, ma senza COVID-19 (74% vs 37%). In uno studio di coorte su 1.141 pazienti con COVID-19 confermato, il 16% di loro ha mostrato sintomi gastrointestinali. Il sintomo gastrointestinale più comune è l’inappetenza, seguita da nausea e vomito.8
In uno studio clinico che ha coinvolto 651 pazienti con COVID-19, l’11,4% di loro presentava almeno un sintomo gastrointestinale (nausea, vomito o diarrea), mentre una metanalisi ha evidenziato come circa il 12% di 4805 pazienti con COVID-19 presentasse sintomi gastrointestinali, tra cui diarrea (4,3-12,2%), nausea o vomito (2,6-8,0%). In Cina, in un gruppo di 204 pazienti con COVID-19 il tasso di diarrea ha raggiunto il 34,0%.8
Infine, secondo una metanalisi che ha coinvolto 1992 pazienti in 36 centri clinici, 1052 pazienti (53%) hanno manifestato sintomi gastrointestinali, i più comuni dei quali sono stati diarrea (34%), nausea (27%), vomito (16%) e dolore addominale (11%), ma sono stati descritti anche casi di ischemia mesenterica acuta e trombosi della vena porta. Diversi sono i meccanismi proposti all’origine dei sintomi gastrointestinali, tra cui la citotossicità virale diretta della mucosa intestinale mediata da ACE2, l'infiammazione indotta da citochine, la disbiosi intestinale, l’aumento della permeabilità della barriera intestinale e le alterazioni vascolari.2,8
Oltre ai sintomi gastrointestinali, il 37,2-76,3% dei pazienti con COVID-19 presenta una funzionalità epatica alterata,9 con livelli degli enzimi epatici elevati nel 7,6-39% dei casi. In uno studio di coorte statunitense su 5700 pazienti con COVID-19 sono stati osservati valori alterati dell'alanina aminotransferasi (ALT) in 2176 pazienti (39,0%) e dell’aspartato aminotransferasi (AST) in 3263 pazienti (58,4%).8
Quando i pazienti contraggono l’infezione da SARS-CoV-2 in genere presentano valori di ALT e/o AST da lievemente a moderatamente elevati nelle prime fasi della malattia, accompagnati da un leggero aumento dei livelli di bilirubina, mentre in alcuni pazienti sono stati riportati aumenti dei livelli di ALT e AST rispettivamente di 7590 U/L e 1445 U/L. Alcuni studi hanno dimostrato che la prevalenza di livelli ematici di transaminasi e bilirubina elevati è almeno doppia nei pazienti gravi rispetto ai pazienti lievi e moderati.8
Inoltre, i pazienti con COVID-19 e malattia epatica cronica (CLD) possono sviluppare uno scompenso epatico come risposta infiammatoria sistemica indotta dalla malattia da SARS-CoV-29, ma c’è il sospetto che l'ipoalbuminemia rappresenti un consistente fattore di rischio per malattia grave anche tra i pazienti senza malattie croniche. I pazienti più anziani con COVID-19 hanno comunque un rischio più elevato di danno epatico.9,10
Il meccanismo attraverso cui SARS-CoV-2 colpisce il fegato non è completamente chiarito, ma si pensa che sia una combinazione di danno diretto mediato da virus e risposta infiammatoria immunomediata. La presenza di ACE2, il recettore cellulare per SARS-CoV-2, nelle cellule endoteliali biliari ed epatiche fornisce una spiegazione meccanicistica plausibile per la lesione epatica osservata con COVID-19. Tra i pazienti ospedalizzati, vanno considerate anche altre cause di danno epatico, tra cui quello indotto da farmaci, sepsi, shock, congestione e cause extraepatiche di AST.10
In Cina, alcuni pazienti guariti da COVID-19 grave hanno manifestato iperpigmentazione scura del viso durante la convalescenza, a causa del danno multiplo d'organo.8
Un’alterata funzione epatica può facilmente essere causa di pigmentazione cutanea attraverso tre vie diverse:8
Secondo alcuni studi indipendenti dal 30% fino al 60% dei pazienti con infezioni da SARS-CoV-2 soffre di mialgia. La mialgia e l'aumento dei livelli di creatina chinasi sono risultati più pronunciati nei pazienti con malattia critica che necessitano di supporto in terapia intensiva rispetto agli individui colpiti più lievemente. Segni di lesione del muscolo scheletrico, come rabdomiolisi e miosite confermata da risonanza magnetica, erano associati a un decorso clinico più grave e a tassi di mortalità più elevati. In un ampio studio di follow-up, due terzi dei sopravvissuti a COVID-19 hanno manifestato affaticamento o debolezza muscolare, e dal 2% al 3 % mialgia anche 6 mesi dopo un'infezione da SARS-CoV-2. In pazienti deceduti con e senza COVID-19, la maggior parte delle persone con malattia da SARS-CoV-2 grave ha mostrato segni di miosite da lieve a grave.12
Le evidenze istopatologiche rilevate dalla casistica mostrano segni di uno stato infiammatorio significativo principalmente in soggetti con decorso della malattia subacuto e cronico dopo la sieroconversione, che suggeriscono la presenza di miosite immunomediata piuttosto che un danno citotossico diretto dei miociti scheletrici da parte del virus.12
La presenza delle particelle virali di SARS-CoV-2 nella retina di pazienti deceduti con COVID-19 è stata rilevata tramite la reazione a catena della polimerasi (PCR) in tempo reale e metodi immunologici per rilevare le sue principali proteine. L'occhio viene colpito dall’infezione da COVID-19, con alterazioni retiniche attribuite ad alterazioni microvascolari e immunologiche secondarie.13
Le anomalie cutanee associate a COVID-19 si possono raggruppare in 5 categorie principali:
Altri reperti cutanei riportati con COVID-19 comprendono lesioni orali; riattivazione delle infezioni virali, per esempio da virus dell'herpes simplex (HSV) e virus della varicella-zoster (VZV); eruzione cutanea simile a un esantema simmetrico intertriginoso e flessionale correlato al farmaco; vasculite dei piccoli vasi; iperestesia cutanea; eruzioni papulosquamose; e lesioni simili ad un eritema nodoso.14
Uno studio condotto su oltre 330.000 pazienti in comunità nel Regno Unito ha evidenziato come l'eruzione cutanea segnalata dai pazienti fosse associata a test positivi per COVID-19 con un valore predittivo superiore alla febbre. Inoltre, un'analisi di 296 pazienti ospedalizzati con COVID-19 negli Stati Uniti ha rilevato come i riscontri degli esami di cute e mucose (per esempio m. orale) fossero associati alla necessità di sottoporre il paziente a ventilazione meccanica, anche dopo averli aggiustati per età, indice di massa corporea e comorbilità del paziente.14
Riassumendo i segni e sintomi a carico di cute e annessi, queste sono le evidenze ad oggi note:
L’orticaria e le eruzioni vescicolari possono precedere altri sintomi associati a COVID-19 e, insieme alle eruzioni morbilliformi, sono tipicamente associate a tassi di sopravvivenza complessivamente più elevati.
L'associazione di pseudo-geloni a COVID-19 rimane per il momento controversa, senza che sia stata riportata alcuna prova definitiva che li colleghi all'infezione da SARS-CoV-2.
Le manifestazioni più preoccupanti sono le lesioni cutanee vaso-occlusive, che si verificano più frequentemente nei pazienti ospedalizzati con COVID-19, e sono associate a una prognosi peggiore rispetto ad altre lesioni cutanee.14
La linfopenia è un reperto di laboratorio comune nella stragrande maggioranza dei pazienti con COVID-19. Altre anomalie di laboratorio includono trombocitopenia, leucopenia, alti livelli di VES, proteina C-reattiva (CRP) lattato deidrogenasi (LDH) e leucocitosi. Il COVID-19 è anche associato a uno stato di coagulopatia, come evidenziato dall'elevata prevalenza di eventi venosi e tromboembolici quali embolismo polmonare (EP), trombosi venosa profonda (TVP), infarto del miocardio, ictus ischemico e trombosi arteriosa, nonostante il mantenimento dell'anticoagulazione sistemica profilattica o addirittura terapeutica. In particolare, COVID-19 è associato a D-dimero, livelli di fibrinogeno, tempo di protrombina (PT) e tempo di tromboplastina parziale (aPTT) talmente elevati da esporre i pazienti al rischio di sviluppare trombosi arteriosa e venosa.2
PP-UNP-ITA-1669
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La presenza di comorbidità è spesso associata ad un rischio più alto di incorrere in esiti gravi da Covid-19. Inoltre, anche i pazienti che hanno avuto un’infezione lieve possono sviluppare i sintomi del Long-Covid, soprattutto in assenza di vaccinazione.
La pandemia di Covid-19 nella fase acuta ha avuto un impatto senza precedenti, con 758.390.564 casi confermati nel mondo (dato al 28/02/2023).
Per il medico è fondamentale valutare, nel caso di infezione da Sars-CoV-2, la presenza di fattori predisponenti o malattie croniche, per identificare il paziente ad alto rischio e indirizzarlo alle cure più adatte.
Gli eventi avversi devono essere segnalati. I moduli di segnalazione e le informazioni possono essere trovati all'indirizzo www.aifa.gov.it/content/segnalazioni-reazioni-avverse
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