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Quadro sintomatologico  Fatigue.

La fatigue ha un impatto più profondo della stanchezza, caratterizzato da uno stato di esaurimento e astenia costanti tali da ridurre l'energia, la motivazione e la concentrazione di una persona. Nel Long Covid, la fatigue per 5 settimane è una delle manifestazioni più riportate, con una prevalenza dell’11,9% tra le persone con COVID-19 e un sintomo persistente comune indipendentemente dalla gravità della fase acuta di malattia. Da uno studio trasversale emerge che il 92,9% e il 93,5% dei pazienti con COVID-19, rispettivamente ospedalizzati e non ospedalizzati, hanno riportato fatigue persistente a distanza di 79 giorni dall'esordio della malattia.

È probabile che una serie di fattori centrali, periferici e psicologici giochino un ruolo significativo nello sviluppo di questo sintomo post-COVID-19. Secondo una review la congestione del sistema linfatico con conseguente accumulo di sostanze tossiche nel sistema nervoso centrale (SNC), causati da una maggiore resistenza al drenaggio del liquido cerebrospinale attraverso la placca cribriforme in seguito a danno neuronale olfattivo, potrebbe contribuire alla persistenza della fatigue post-COVID-19.

Anche fattori psicologici e sociali negativi, associati alla pandemia in corso, possono essere correlati a fatigue cronica. Infine, i fattori periferici come l'infezione diretta da SARS-CoV-2 del muscolo scheletrico, con conseguente danno, debolezza e infiammazione delle fibre muscolari e delle giunzioni neuromuscolari, possono contribuire allo sviluppo di fatigue.

Dispnea.

La dispnea è comune nelle persone con Long Covid, con una prevalenza del 4,6% a 5 settimane dall'infezione da COVID-19, indipendentemente dalla presenza di sintomi respiratori acuti o dalla gravità della malattia. Alterazioni nella capacità di diffusione del monossido di carbonio, TLC, FEV1, FVC e nella funzionalità delle piccole vie aeree sono state osservate in pazienti COVID-19 ospedalizzati al momento della dimissione, circa un mese dopo l'esordio dei sintomi, dimostrando che in questi pazienti è necessario del tempo perché la funzione polmonare ritorni nella norma. Se la dispnea è una manifestazione comune dopo l'infezione da COVID-19, il 43,4% dei pazienti presenta ancora dispnea 60 giorni dopo l'insorgenza del COVID-19.1 

La maggior parte delle persone che sviluppano difficoltà respiratorie a lungo termine post-COVID-19 non presentano segni di danno polmonare permanente o duraturo. È probabile che solo le persone ad alto rischio di sviluppare difficoltà respiratorie, tra cui gli anziani, coloro che soffrono di sindrome da distress respiratorio acuto, coloro che hanno degenze ospedaliere prolungate e i pazienti con anomalie polmonari preesistenti siano inclini a sviluppare alterazioni simil-fibrotiche del tessuto polmonare. Lo stato fibrotico del parenchima polmonare, osservato in alcuni pazienti con dispnea in corso, può essere indotto da citochine come IL-6, i cui livelli aumentano nel COVID-19. Tromboembolie vascolari polmonari sono state osservate in pazienti con COVID-19 e possono avere conseguenze dannose nei pazienti con Long Covid.1 

Sintomi cardiovascolari. 

Il danno cardiaco e livelli elevati di troponina cardiaca sono associati a un rischio significativamente maggiore di mortalità nei pazienti ricoverati in ospedale con infezione acuta da COVID-19. Coinvolgimento cardiaco, infiammazione miocardica in corso e livelli elevati di troponina sierica sono presenti in molte persone con COVID-19 a 71 giorni dalla diagnosi, mentre dolore toracico, probabilmente riconducibile a miocardite, è una manifestazione comune nel 21,7% dei pazienti 60,3 giorni dopo l'esordio dei sintomi di malattia da SARS-CoV-2. Anche i soggetti considerati a basso rischio di COVID-19 grave, come i giovani atleti competitivi, presentano una miocardite residua molto tempo dopo la guarigione della malattia. Oltre ai disturbi cardiaci, negli individui con infezione post-COVID-19 sembrerebbe esserci anche la tendenza a sviluppare una sindrome da tachicardia ortostatica posturale di nuova insorgenza (POTS), causata da una disfunzione autonomica.

Nei cardiomiociti infettati da SARS-CoV-2 hanno luogo diversi eventi, come l'interruzione e la frammentazione del sarcomero, l'enucleazione della cellula cardiaca e un'intensa risposta immunitaria locale. Le risposte patologiche al danno cardiaco acuto e alla miocardite virale, come il danno endoteliale e la microtrombosi, possono indurre lo sviluppo di coagulopatia, mentre l'ipossia cronica e un aumento della pressione arteriosa polmonare e del carico ventricolare possono accelerare ulteriormente l'incidenza di danno cardiaco nelle persone con COVID-19.

 

La combinazione di infezione, una risposta pro-infiammatoria indotta dal sistema nervoso autonomo e un certo livello di autoimmunità può contribuire a stabilire una disfunzione autonomica e una sindrome da tachicardia ortostatica posturale di nuova insorgenza.

    Sintomi neuropsichiatrici. 

    Nei pazienti ricoverati in ospedale con COVID-19 si osservano disturbi quali encefalopatia, deterioramento cognitivo, eventi/malattie cerebrovascolari, convulsioni, lesioni cerebrali ipossiche, segni del tratto corticospinale, sindrome disesecutiva, alterazione dello stato mentale e condizioni psichiatriche. Non è ancora certo chi siano i pazienti più colpiti dai disturbi cognitivi indotti da COVID-19 e per quanto tempo persistano, ma report sui casi di Long Covid hanno descritto "l’annebbiamento cerebrale" (brain fog) come un sintomo comune e debilitante.1 

    È noto che malattie critiche, sindrome respiratoria acuta grave e supporto ventilatorio a lungo termine hanno effetti dannosi a lungo termine sullo stato cognitivo dei pazienti. Ictus e cefalea sono prevalenti nei pazienti guariti da COVID-19 acuto. Livelli straordinariamente elevati di infiammazione sistemica, come quelli osservati in alcuni pazienti con "tempesta di citochine”, rappresentano un rischio sostanziale per il cervello con aumento del rischio di manifestazioni neurologiche, quali encefalite e ictus, o condizioni neurologiche come la sindrome di Guillain-Barré e neurodegenerative come il morbo di Alzheimer.

    La pandemia ha avuto un effetto negativo sulla salute mentale delle persone, che hanno accusato sintomi psichiatrici a lungo termine come disturbo da stress post-traumatico (PTSD), depressione, ansia e sintomi ossessivo-compulsivi dopo il recupero dall'infezione acuta. Anche la quarantena, l'isolamento e il distanziamento sociale hanno effetti dannosi sulla salute mentale e cognitiva.

    Le persone che vivono in case di cura, comprese le persone con demenza, sono vulnerabili al COVID-19 con aumento degli stati depressivi e ansiosi, dell’agitazione e della solitudine. Nei pazienti con demenza istituzionalizzati nelle case di cura l'isolamento sociale prolungato ha esacerbato disturbi neuropsichiatrici e comportamentali, come apatia, ansia, agitazione, noia e confusione, in misura maggiore rispetto ai residenti nelle case di cura senza demenza. L'insonnia è un altro sintomo frequentemente segnalato dopo il recupero da COVID-19.

    I coronavirus, come il SARS-CoV-2, possono infettare il sistema nervoso centrale (SNC), con elevata incidenza di neuroinfiammazione osservata nei pazienti con COVID-19 ed effetti dannosi a lungo termine. SARS-CoV-2 può anche influenzare la permeabilità della barriera ematoencefalica, che consentirebbe a citochine e ad altre sostanze veicolate in circolo di penetrare il SNC e guidare ulteriormente la neuroinfiammazione. L'evidenza suggerisce che un'encefalite virale diretta, un'infiammazione sistemica, una disfunzione degli organi periferici e i cambiamenti cerebrovascolari possono contribuire allo sviluppo di sequele a lungo termine da COVID-19.

          Sintomi olfattivi e gustativi. 

          Alterazioni dell'olfatto e del gusto possono persistere dopo la guarigione dal COVID-19, con una prevalenza a 5 settimane di perdita dell'olfatto e del gusto uguale rispettivamente al 7,9% e all'8,2%, sebbene vi siano studi che hanno riscontrato una prevalenza di disfunzione olfattiva e gustativa variabile dall'11% al 45,1% nelle coorti di pazienti reduci da COVID-19 acuto.

          L'espressione non neuronale del recettore ACE2 può consentire l'ingresso del virus SARS-CoV-2 nelle cellule olfattive di sostegno, nelle cellule staminali e nelle cellule perivascolari, causando una risposta infiammatoria che successivamente riduce la funzione dei neuroni sensoriali olfattivi. Inoltre, danneggiando le cellule di sostegno, SARS-CoV-2 può ridurre indirettamente la segnalazione dai neuroni sensoriali ai centri superiori, con conseguente perdita dell'olfatto.

          I recettori ACE2 sono espressi anche sulla membrana mucosa della cavità orale, in particolare sulla lingua, consentendo a SARS-CoV-2 di causare danni e disfunzioni cellulari. Inoltre, SARS-CoV-2 può legarsi ai recettori dell'acido sialico, con aumento della soglia gustativa e conseguente degradazione delle particelle gustative prima che possano essere rilevate. Un altro possibile meccanismo di disfunzione gustativa durante COVID-19 e Long Covid riguarda il legame funzionale tra gusto e olfatto, per cui la percezione gustativa è ridotta a causa di una disfunzione sensoriale olfattiva antecedente.

          Altri sintomi comuni.

          L'infezione da COVID-19 può provocare anche una compromissione di altri organi in soggetti a basso o ad alto rischio di malattia acuta grave. Per esempio il rene: nel 35% dei pazienti con COVID-19 si osserva una funzione renale ridotta 6 mesi dopo la dimissione. O anche il pancreas che, valutato 141 giorni dopo l'infezione nel 40% dei pazienti con COVID-19 a basso rischio di malattia grave, presenta una lieve compromissione associata a diarrea, febbre, cefalea e dispnea. Così come la milza, che appare lievemente compromessa nel 4% dei pazienti valutati 141 giorni dopo la clearance di COVID-19. Altri organi e tessuti, come fegato, tratto gastrointestinale, muscoli e vasi sanguigni, che esprimono il recettore ACE2, sono suscettibili sia di danno diretto da SARS-CoV-2 sia di danno indiretto dovuto a un elevato grado di infiammazione sistemica. Anche alterazioni del microbiota intestinale e della tiroide (tiroidite subacuta) sono state osservate dopo un'infezione da COVID-19.

          Bibliografia:​​​​​​Crook H, Raza S, Nowell J, Young M, Edison P. Long covid-mechanisms, risk factors, and management. BMJ. 2021 Jul 26;374:n1648. doi: 10.1136/bmj.n1648. Erratum in: BMJ. 2021 Aug 3;374:n1944. PMID: 34312178. https://www.bmj.com/content/374/bmj.n1648.long.

          PP-UNP-ITA-1703

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